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MALINDI, PROVINCIA D'ITALIA
Malindi è una realtà tutta particolare. Una sera, mentre eravamo seduti al "Bar Bar" (uno dei locali storici della cittadina), una ragazza si volta verso di noi: "Sa, sono di Grosseto, il mio ragazzo è inglese e non capisce una parola d'italiano, stavamo andando verso Lamu ed abbiamo deciso di fermarci a Malindi. Posso farle una domanda? Da quando Malindi è una colonia italiana?" Quasi a malincuore ci toccò deludere la giovane maremmana. Al tavolo della Vecchia Europa, dove si decisero le spartizioni dell'Africa Orientale, l'Italia non fu mai ammessa. Anzi, dopo la guerra d'Eritrea, la Società delle Nazioni impose addirittura le sanzioni all'Italia di Mussolini. Addirittura pare che l'aviazione italiana facesse proprio di Malindi l'obiettivo di uno dei pochi suoi attacchi. E per ironia della sorte Malindi diventa nel tempo "una provincia italiana". La comunità degli italiani è numerosa, nel tempo è stata anche "variegata". Nasce quasi per caso, dopo che Malindi, oltre alla colonia inglese, vantava una pressante presenza di tedeschi. L'insediamento italiano è frutto di una "germinazione spontanea" del passa parola. Amici che ne trascinano altri e così via. Oggi, chi arriva a Malindi, sente parlare più italiano che inglese. Si vedono i ragazzi indossare le maglie della Juventus, del Milan, perfino della Fiorentina. Non mancano i ristoranti e le pizzerie dalla matrice inconfondibilmente tricolore: la televisione sintonizzata su Rai International, tra una pizza ed un piatto di spaghetti: ecco la piccola Italia nell'occhio del continente nero. C'è addirittura un console italiano, seppure onorario. Nel tempo, insomma, Malindi diventa una specie di "buon riposo" per coloro che hanno deciso di trascorrere la loro terza età lontani dal "bel Paese" ma è anche meta di tanti che hanno deciso di farsi casa da queste parti. Due gli elementi sugli altri che esercitano un irresistibile fascino su chi arriva da queste parti: la "sindrome di Shaker" e "l'estasi di Che Shalle". Cosa sono? È presto detto: la prima è la febbre da shopping. Tutte e le signore in specie scoprono una vocazione allo stile africano. Visti i prezzi (che comunque stanno aumentando) e la velocità di consegna dei capi su misura, si gettano senza ritegno nell'acquisto a colpi di centinaia di scellini. Un divertimento, un gioco da cui è quasi impossibile liberarsi. La seconda invece è una strana e straordinaria sensazione che si prova a pochi chilometri da Malindi, dopo una stupenda corsa in macchina sulla spiaggia. Gli occhi si perdono nel cercare la fine di una carrellata che sembra un sogno. Il panorama è quasi irreale. La magia di quella atmosfera è davvero struggente. Ecco, due elementi che fanno il fascino buono di Malindi. Di interessi ce ne sono anche altri, certo meno suggestivi, sicuramente meno nobili, che, però, per carità di Patria preferiamo lasciare al silenzio del pudore. La comunità italiana, dopo aver sopravanzato quella tedesca, ha preso il posto anche di quella inglese. E si vede dalle scritte, si sente dalle espressioni dei locali, si avverte nei i prodotti che sono in vendita nei negozi. Malindi ormai sa d'Italia.
Già nel 15° secolo Malindi ha contatti con i grandi Paesi del mondo. L'imperatore cinese Ming Yung Lo, nel tentativo di aprire nuove vie commerciali, manda delle navi nell'area di Malindi. L'allora Re di Malindi gli invia in regalo una giraffa che i cinesi, nella meraviglia per quello stranissimo esemplare, finiscono per venerare come qualcosa di sacro, come fosse un unicorno. L'Imperatore, in segno di gratitudine, ricambia con altri regali. Nel 1498 è proprio a Malindi che il navigatore portoghese Vasco De Gama trova rifugio ed accoglienza.
Le esportazioni dell'epoca riguardavano essenzialmente corni di rinoceronte, gusci di tartaruga, avorio. Malindi ha sempre vissuto bene fino alla metà del 19° secolo quando fu abbandonata alle orde dei Galla che venivano dal Nord. Nel secolo successivo i Galla lasciano Malindi alla popolazione Griama e l'economia locale riprende con il baratto. Sul mare, protetta dalla barriera corallina, Malindi raggiunge l'apice del suo splendore nel XIV secolo quando scoppia la rivalità con Mombasa per il controllo della zona.
Il primo turismo inizia nel 1931. I coniugi Brady aprono un piccolo hotel di 18 camere, a nord della città, sul mare. L'hotel diventa subito una base suggestiva per la pesca d'altura, come testimonia Ernst Hemingway che, in compagnia di due amici, nel 1934 soggiorna proprio in quel piccolo albergo. Mai sponsor fu più appropriato. Una settimana di pesca, di racconti e quel locale, che poi assunse il nume di Blue Marlin, entra nel mito. Quindi da antico villaggio swahili Malindi si trasforma in un centro di residenza e villeggiatura. Una storia importante che ha visto protagonisti i portoghesi, gli inglesi, i tedeschi e, alla fine degli anni settanta gli italiani. Nel dicembre del 1978, ad opera di un toscano, Camillo Duranti, nasce il "Suli suli" (il pesce vela).
Quaranta camere ed undici bungalow. Un grande tour operator italiano crede alla scommessa ed investe. La partenza, però, fu stentata e molto avventurosa. Comunque sia, da quel momento, l'interesse degli italiani si moltiplica tanto che negli anni '80 la flemma anglosassone è rimpiazzata dal colore e dalla vivacità "italiota". Malindi è una città ricca di spiagge e d'attività. Si affaccia sull'Oceano Indiano in uno dei punti più incantevoli di tutta la costa Africana.
Le sue spiagge bianche si estendono per decine di chilometri e sono protette da una imponente barriera corallina. A breve distanza da Malindi si estende il parco Marino che si sviluppa su di una superficie di kmq. 216. Lo si raggiunge in barca (dopo aver pagato il biglietto) e l'escursione prevede un programma semplice ma suggestivo: l'osservazione dei pesci con le glassboat (oppure durante delle semplici immersioni in apnea) e quindi dopo aver superato anche la bianca spiaggia di Majungo ed il particolare villaggio dei pescatori, si arriva sull'isola che non c'è. Una spiaggia che resta tale fino all'alta marea. Un rapido barbecue, un pranzo a base di pesce alla griglia e poi il ritorno. Malindi dispone di tutti i servizi necessari per una buona vacanza, dai collegamenti stradali, aerei e marittimi con tutte le località del Kenya, ai tipici ristoranti in stile swahili, gelaterie e pizzerie all'italiana. E' possibile fare shopping in mille negozi o nel tipico mercatino del legno ricco di souvenir artigianali, tessuti, minerali, gadgets. Lo shopping a Malindi ha diverse possibili mete. C'è il mercato del lungomare con una serie di bancarelle che offrono artigianato in saponaria o in legno, c'è la cooperativa degli artigiani. C'è il grande mercato sulla via di Mombasa. La sera poi c'è da divertirsi per tutte le età: discoteche, bar, locali notturni ed un casinò.
Il monumento più importante è la colonna di Vasco da Gama fatto erigere in onore del navigatore portoghese nel 1498. La colonna in corallo sostiene una croce in pietra e svetta sulle rocce di Casuarina beach. Sempre a Malindi si può visitare la Malindi Crocodile farm dove si possono ammirare i coccodrilli al pasto. Lo Snake Park consente un'ampia rassegna di serpenti. La Falconara che ospita molti uccelli rapaci in cattività.
LA STRADA DELLA COSTA
Circolare per Malindi, come per il resto del Kenya non è un'impresa semplice. La strada litoranea che dal sud va verso Lamu è abbastanza buona anche se il primo tratto, da Mombasa a Kilifi mostra evidenti segni di trascuratezza nella manutenzione. E' preferibile l'auto privata, magari con autista. I mezzi pubblici sono da sconsigliare. Chi volesse togliersi uno sfizio può salire su un "Matatu", una serie di pulmini privati cui è consentito trasportare non più di 13 passeggeri (più il conduttore e l'autista). Con circa cento scellini si può fare un bel tratto di strada. All'interno delle città ci sono i "tuc tuc": Api della Piaggio fabbricate in India, giuste per il clima e le caratteristiche della zona, con tariffe che si aggirano intorno ai sessanta scellini. Infine, per chi ama i mezzi ecologici, ci sono i "boda boda": ciclisti disposti a portarvi a destinazione sul sellino posteriore della propria bicicletta. Curiosa l'etimologia di questo neologismo swahili.
Nasce dal tempo di guerra quando i militari inglesi inviavano porta-ordini da un posto all'altro, da un confine all'altro: border to border, quindi foneticamente "boda boda".
La costiera prosegue per 225 chilometri da Malindi verso Lamu. E' un tratto di strada non consigliabile quando il tempo è piovoso. Si può andare in bus o meglio in camper per compiere delle piacevoli escursioni. Proprio fuori Malindi, s'incontra il fiume Sabaki. Una prima sosta la si può effettuare 13 chilometri dopo Malindi, a Mambrui che è un insediamento del 15° secolo, dove ora sta sorgendo una nuova zona turistica. E' un'area in cui le erosioni, nel tempo, hanno creato delle vere e proprie attrazioni come la località chiamata la "cucina del diavolo". Speroni rocciosi, sabbia, improvvise depressioni del terreno. Ngomeni è una piacevole località abitata ancora dalla gente Bajun. Ma è nota anche per un'altra curiosità: la base S.Marco. Già, a metà degli anni settanta un professore universitario italiano, Luigi Broglio, riuscì a coronare un sogno. Aveva stabilito che proprio su quel punto della costa appena sotto l'equatore, si potesse svolgere un'interessante attività scientifica. Contatti e progetti per poi alla fine, grazie ad un accordo con il governo keniota, realizzare un centro studi dotato di attrezzature per il rilevamento e la misurazione delle traiettorie spaziali. Al centro fu concesso di mettere in mare anche delle piattaforme che avrebbero dovuto essere mobili, per la realizzazione di lanci. Oggi l'attività della base è di alta precisione: in collaborazione con la Nasa e con l'ente spaziale europeo, l'agenzia spaziale italiana sta cercando di potenziare e raffinare l'attività.
Il viaggio sulla costa prosegue, tra credenze leggendarie sugli spiriti e dei gamberoni "jumbo" che si possono gustare, dopo una breve navigazione in barca, nell'isola di Robinson. Lamu è la grande attrazione della costa settentrionale.
Si tratta di un arcipelago appena sotto il confine con la Somalia. Lamu è la più importante. Si narra che sia stata fondata dagli Arabi nel settimo secolo, anche se la costruzione più importante, la moschea di Puntami risale al 1370. Raggiungere Lamu non è molto semplice. Il mezzo più comodo è l'aereo che parte da Malindi e dopo un'ora e mezzo di viaggio atterra nell'isola. Se invece si opta per un viaggio via terra, sempre da Malindi occorrono 6/8 ore con l'autobus e 3/4 ore in auto. Bisogna tenere presente che è necessario essere sempre accompagnati da una scorta militare perché l'ultimo tratto di strada (sterrata) è ritenuta pericolosa.
Come Mombasa e Malindi, anche Lamu è stato un porto commerciale di prima importanza: dalle mangrovie all'avorio, dai gusci di tartaruga agli schiavi. Quando nel 1873 fu deciso di chiudere il mercato degli schiavi, le fortune di Lamu declinarono rapidamente. Nell'isola si sono alternati francesi, americani, tedeschi ma l'influenza inglese è tutt'oggi bene visibile. Diciannove chilometri di lunghezza e otto di larghezza, Lamu la si raggiunge con una motolancia. Senza auto, si può visitare la città a piedi oppure a dorso di mulo. L'atmosfera che offre è affascinante e caratteristica. Strade interne minuscole, passaggi intricati e talvolta complessi, improvvisi affacci su qualche piazza e sul lungomare. Lamu si trasforma in una città stato ed è annessa al Kenya con l'atto d' indipendenza del 1963. Ma il nuovo boom di Lamu avvenne negli anni '70 grazie al turismo. La popolazione è quasi interamente musulmana, tant'è che è praticamente impossibile bere una birra. Gli uomini indossano la tradizionale veste bianca, le donne un drappo nero.
La peculiarità di Lamu è il riposo ed il relax. Ma si possono ammirare anche qualche costruzione d'interesse. C'è un piccolo forte costruito nel 1821, completato dal Sultano dell'Oman. C'è il museo di Lamu, con in esposizione varie testimonianze della cultura swahili. Ceramiche che dimostrano abilità ma anche l'influenza che i mondi arabo e cinese hanno esercitato in questi luoghi Ci sono poi due corni di siwa che sono probabilmente gli strumenti musicali di più vecchia origine in Africa. Inoltre, vagando per la città, si possono ammirare qua e là splendide porte intagliate, inserite in cornici altrettanto preziose.
A nord di Lamu ci sono le rovine di Shanga che si sviluppano per 221 acri e contengono ciò che rimane delle pareti di corallo di 160 case, due palazzi, tre moschee e centinaia di tombe. Infine due parole vanno spese circa il nome di Shanga: la leggenda narra che è stato scelto dai commercianti cinesi da Schang-Hai - e così il nome di Shanga. Sostenendo questa teoria sia i fatti che le parole per tè - chai - sono le stesse in swahili mandarino ed anche che le terraglie cinesi sono state trovate fra le rovine.
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