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DA RICORDARE - In Kenya a partire dal 28 agosto 2017 è entrato in vigore il bando ai sacchetti di plastica. Leggi il comunicato.
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AFRICA > KENYA > ESPERIENZA KENYA

LA “LUNATIC EXPRESS”

Gli inglesi, per meglio operare il loro controllo sulla regione, costituiscono una società che ha il compito di sfruttare le future opportunità di quelle terre. Nasce così la Imperial British East African Company. Con sede a Mombasa, l’IBEA conia una propria moneta, stampa francobolli, pubblica documenti. Dal 1888 al 1890 la società, con un piccolo contingente di soldati e ufficiali inglesi, riesce a tracciare, faticosamente, una via verso il Nord: prima Machakos, quindi una località che i Masai chiamavano la “terra dalle acque fredde” Nairobi per giungere infine al Lago Vittoria. Chilometri e chilometri fra le asperità di un territorio assolutamente impervio, tra animali pericolosi e l’ostilità di popoli indigeni. In ogni caso le vie di collegamento tra il mare e l’interno erano essenziali per lo sviluppo commerciale e politico. Da qui l’idea di costruire una ferrovia che da Mombasa conducesse fino al Lago Victoria per circa 1000 chilometri. Il progetto scatena in Inghilterra polemiche feroci. Il costo, stimato intorno ai 5 milioni di sterline, sembra un’enormità. C’è, poi, da mettere in conto la difficoltà di realizzazione e quella di reclutare uomini che siano disposti a rischiare la vita per un’impresa tanto ardua. Nel dibattito parlamentare si cerca di capire se e quali sarebbero stati i vantaggi di un’opera del genere. Henry Labouchere, dopo un’aspra discussione con il sottosegretario agli Esteri, Gorge Curzon e dopo che il Governo decide di varare la titanica quanto improbabile impresa, si “vendica” pubblicando su un giornale un delizioso sonetto satirico:

Che cosa costerà non si può sapere
A che cosa servirà, nessuno lo può supporre
Da dove partirà nessuno lo può ipotizzare
Dove andrà nessuno lo sa
Che uso se ne farà nessuno lo può prevedere
Che cosa trasporterà nessuno lo può definire
Una cosa è certa: la preveggenza di Gorge Curzon
È chiaramente finalizzata ad una linea lunatica

Il governo però ha deciso e bisogna cominciare. Così nell’agosto del 1896 si dà inizio ai lavori. Il progetto è affidato all’ingegner Gorge Whitehouse. Gli operai sono in gran parte indiani (ecco come nasce la prima migrazione della comunità che ancora oggi vive numerosa in Kenya) Ed in quasi tre anni l’opera è completata. Se il bilancio economico è pesante, quello umano non lo è da meno. Ma la “lunatic line” diventa realtà. Il 30 maggio 1899 la ferrovia arriva a Nairobi. Il 20 dicembre 1901 raggiunge il lago Vittoria in una località chiamata all’epoca Port Florence (dal nome della moglie del direttore dei lavori Ronald Preston) e che oggi è Kisumu. La rete ferroviaria keniota si è sviluppata per 2500 chilometri. Ed oltre alla tratta più famosa tra le due città principali del Paese, c’è una linea al Nord che da Nairobi va verso Nanyuki e da Eldoret a Kitale (solo traffico merci); verso ovest da Nakuru a Malaba sul confine con l’Uganda; verso sud da Voi, parco Tsavo, a Taveta ai confini della Tanzania. Mombasa – Nairobi e ritorno resta comunque la linea più affascinante. Nessuno poteva pensare all’epoca, tra l’altro, che Nairobi sarebbe diventata la grande città d’oggi. Doveva essere solo il quartier generale della ferrovia. Sir Guildford Molesworth, incaricato di stendere una relazione sull’opera, aveva spiegato che Nairobi era stata scelta “…come luogo per il principale centro di lavoro. Situata a 5500 piedi (1670 metri) sul livello del mare, assicura un clima salubre. Inoltre ci sono ampi spazi per erigere tutte quelle costruzioni che si renderanno necessarie. E’ un luogo che abbonda di riserve idriche e che quindi consentirà un ottimo sviluppo”. Furono indicazioni preziose e perfino lungimiranti tanto che nel 1907 la capitale è spostata da Mombasa proprio a Nairobi. Oggi viaggiare in treno da Mombasa a Nairobi (o viceversa) è quasi una comodità rispetto ad allora. Certo il vagone ristorante dove il giovane Winston Churchill nel 1907 fa una colazione “edoardiana” non ha più quella magica atmosfera ma le tredici ore di treno, tra il bush, la savana e gli altopiani mantengono comunque lo spirito acre di una piccola moderna avventura. E’ un’esperienza senz’altro da consigliare.

LA POLITICA

Agli inizi del secolo l’influenza inglese si fa sempre più pressante. Ed è proprio l’autorità inglese a mettere in vendita i terreni “disponibili” destinandole una parte alla colonizzazione ed una agli indigeni. Nel 1919 il Kenya diventa una colonia. La prima guerra mondiale è appena terminata e la Corona inglese non deve più temere la concorrenza tedesca. Così non solo il Kenya ma tutta la regione passa sotto l’egemonia britannica. Non tutte le tribù, però, vogliono sottomettersi docilmente al nuovo stato di fatto. I Kamba, i Nandi, gli stessi Masai si ribellano alla “Pax Britannica” che cerca di tenerli in disparte. Del resto molti di loro, causa le carestie, le epidemie bovine e le malattie, erano stati costretti a “svendere” agli inglesi gran parte delle loro proprietà E mentre è consentito alle comunità arabe di essere proprietari terrieri, gli inglesi promulgano una legge secondo la quale lo stesso diritto non è riconosciuto agli indiani che già si erano impossessati di tutta la rete commerciale. L’Inghilterra soffoca nel sangue i vari episodi di ribellione.

Nel 1922 sono circa 10.000 gli europei che risiedono stabilmente in Kenya. Nel 1923 il segretario di Stato inglese per le colonie, il duca di Devonshire, in quella che fu ritenuta una sorta di Magna Carta per le popolazioni indigene, scrive: “il Kenya è un territorio africano e che gli interessi dei locali sono supremi. Se e quando questi interessi e quegli degli immigranti finissero in contrasto, i primi devono prevalere…” Un principio importante ma difficile da essere applicato, visto che gli africani non partecipavano né alla stesura delle leggi né al governo della zona. In quegli anni molti indigeni, per lo più Kikuyu, trovano lavoro a Nairobi: la città emergente del Paese. Nasce l’Associazione giovanile Kikuyu ed il primo suo leader fu Harry Thuku. Nel tentativo di evitare una disgregazione dell’associazione, causa le diversità tribali, Thuku decide di modificare il nome del movimento in Associazione dell’Africa Orientale. La protesta contro la dominazione inglese prende sempre più corpo. Thuku viene arrestato e deportato. E’ proprio in quella comunità si mette in luce un giovane cresciuto in una missione religiosa, Johnstone Kamau. Impiegato come addetto al controllo idrico della municipalità, appena entrato in politica, il giovane decide di cambiare il proprio nome in Jomo Kenyatta e, dopo l’arresto di Thuku, assume la guida del movimento. Nel 1929, quasi contemporaneamente alla famosa crisi della borsa di New York, il Kenya è devastato da una terribile serie di invasioni di locuste. Le condizioni economiche del Paese tracollano. Scoppiano anche contrasti religiosi. Sempre nel ’29 una missione scozzese espelle dalla comunità coloro che avevano ignorato il divieto di praticare l’infibulazione. Così fanno anche le altre chiese protestanti, offrendo di contro alle associazioni nazionalistiche una formidabile arma di propaganda. Nel corso degli anni (con la pausa del periodo della seconda guerra mondiale durante la quale circa 100.000 kenioti prestarono servizio nell’esercito inglese) i malumori tra la popolazione nera aumentano a vista d’occhio. Kenyatta, sempre più leader, è costretto a trascorrere molto del suo tempo tra il carcere ed un volontario esilio. Nel 1948, a seguito del rifiuto del governo inglese di riconoscere le richieste africane, nasce il movimento dei Mau mau. Il nome pare che venga dalla parola “muma”, giuramento: è un vero e proprio partito clandestino che fino al 1956 terrorizza il Paese ma soprattutto gli stranieri.

Gli inglesi attribuiscono la responsabilità morale di tutto ciò a Kenyatta. Il 20 ottobre 1952 il governatore Sir Evelyn Baring dichiara lo stato d’emergenza. Sangue e molte vittime innocenti segnano quei giorni. Lo stesso movimento dei Mau mau è diviso. Difficile fare un bilancio delle vittime, si parla di 10.000 africani e di 50 europei. Gli scontri cessano nel 1956 con la cattura di Dedan Kimathi e la conseguente detenzione di circa 30.000 persone. Nel 1957 viene concessa agli africani la possibilità di eleggere dei propri rappresentanti. Un’iniziativa che non produce buoni risultati. I due maggiori partiti locali si rifiutano di formare un governo se non dopo la liberazione di Jomo Kenyatta. La concessione dell’indipendenza arriva ufficialmente nel maggio del 1963. Vengono indette le prime elezioni a suffragio universale (ad ogni uomo un voto) e il Kanu, il partito di Jomo Kenyatta trionfa. Il momento è delicato. La presenza straniera si assottiglia. Si avverte la paura per un futuro sconosciuto. La crisi economica si fa pericolosa. I svendono terreni e proprietà. Tutti vogliono capire quali saranno le decisioni di Kenyatta e soprattutto con quale parte del mondo vorrà schierarsi. C’è un unico partito che il Kanu (Kenya African National Union) ma al suo interno le rivalità tribali sono sempre forti. Il Kenya entra a far parte del Commonwealth Le minoranze etniche mal sopportano l’egemonia Kikuyu.Oginga Odinga (Luo) vicepresidente, vorrebbe guardare con più simpatia verso i Paesi del blocco socialista. Kenyatta, invece, preferisce l’appoggio del mondo occidentale. Nel 1965 c’è una svolta. Kenyatta ordina la chiusura dell’Istituto Lumumba e ordina l’espulsione dei diplomatici russi, cinesi e di altri Paesi dell’Est.

E’ una chiara scelta di campo. Odinga viene arrestato e la sinistra emarginata. Kenyatta resta presidente fino alla sua morte: il 22 agosto 1978. Gli succede il suo vice, Daniel Arap Moi (kalenjin) che governa fino al 2002. Arap Moi esercita il suo potere con grande determinazione tanto che dopo aver sventato un paio di tentativi di colpi di Stato vince tutte le elezioni fino al 1992 e solo nel 1997 abroga alcune leggi che limitavano la libertà di parola e d’assemblea Piano, piano (“pole pole” come recita un famoso detto in lingua swahili) rinasce il multipartitsmo. In virtù delle nuove norme costituzionali fortemente sollecitate dalla comunità internazionale, Arap Moi non può più ripresentarsi come candidato. Gli è garantita l’immunità e gli è concesso di ritirarsi in “pensione” nella sua farm. Nel 2002 le nuove elezioni si svolgono regolarmente sotto il controllo di osservatori nazionali ed internazionali e segnano un altro punto di svolta per l’evoluzione democratica del Paese. A capo di un governo di coalizione (Narc, la alleanza nazionale dell’Arcobaleno) è eletto allora Mwai Kibaki (ex vicepresidente di Moi). Il presidente Kibaki ha un manifesto elettorale tutto imperniato su la lotta alla corruzione, su una nuova crescita economica e nell’offrire nuovo impulso all’educazione giovanile.

LE ETNIE

etnie in kenya

Gli indigeni erano l’Africa in corpo e sangue…quando sono in viaggio, alti, snelli, scuri e con gli occhi scuri…o quando lavorano la terra o pascolano le bestie o fanno le loro grandi danze o raccontano una fiaba…è l’Africa che è in viaggio, che danza, che racconta…tornano in mente le parole del poeta: sempre mi è parso nobile l’indigeno e insulso l’immigrato…” Sono le parole di Karen Blixen, l’autrice di uno dei best seller sul Kenya: la mia Africa. Ed il Kenya si è formato attraverso la composizione di molte etnie, di tanti popoli che, provenendo un po’ da tutte le direzioni, hanno finito per stabilirsi in questa terra. Gente diversa sia per costume che per caratteristiche morfologiche e spesso in contrasto gli uni contro gli altri, con una rivalità mai completamente scomparsa. Si possono dividere in tre grandi ceppi: i Bantu, i Niloti ed i Cusciti.

I Masai sono forse il popolo più famoso del Kenya. Alti, statuari, perfino eleganti per il loro portamento, per i loro monili e con quei drappi rosso-colorati sono ormai ridotti ad una minoranza (meno di 500.000). Discendenti del gruppo nilota, sono sempre stati dei pastori: “Spero che il tuo bestiame sia florido…” è un loro tipico saluto. In passato erano temuti come dei formidabili guerrieri.. La lancia, il pugnale ed una mazza dalla testa arrotondata erano e sono le loro armi tradizionali. Credevano nel Dio della pioggia, Ngai, cui chiedevano di garantire cibo per il loro bestiame. Nomadi, si nutrivano con una mistura tra sangue e latte bovino. Poligami, vivono tuttora nei loro villaggi anche se magari con il telefonino o l’orologio al polso. Il termine Masai viene dalla lingua che usano: il Maa. Sono tutelati da un’associazione la Masai Environmental Resource Coalition i cui legali si battono per la conservazione degli usi e dei costumi tradizionali. All’associazione è riconosciuta una quota sui biglietti d’ingresso ai parchi quale indennizzo per i loro terreni che furono loro tolti nel tempo per la realizzazione delle riserve animali.

L’etnia più numerosa è la Kikuyu (4.500.000) che vive nella zona centrale del Kenya. Oggi è la razza dominante. Protagonisti nella battaglia per l’indipendenza del Kenya, rappresentano il 20% della popolazione. E’ uso ancora oggi pagare al padre della futura sposa una sorta di indennizzo e chiedere in moglie una Kikuyu magari istruita per un keniota è un vero e proprio investimento. Un altro gruppo molto numeroso sono i Luhya (3.000.000) che, occupando tre distretti, popolano la provincia occidentale. Il ceppo nilotico è rappresentato dai Luo (2.800.000), popolo originario dalla zona che oggi è il Sudan. Amanti della musica, si vestono con ornamenti coloriti ed accurati. Sono abili contadini anche se si trovano a svolgere la loro attività in zone non certo favorevoli.

Poi ci sono i Kalenjin (2.900.000) che vivono nella provincia della Rift Valley. Agricoltori, sono particolarmente legati alle proprie tradizioni. Una curiosità: molti dei più abili atleti kenioti, d’assoluto valore nella corsa sulla media-lunga distanza, appartengono a questo ceppo etnico. Tra le rappresentanze più rilevanti poi ci sono i Kamba (2.500.000), i Kisii (1.300.000) ed i Meru (1.100.000).

Un altro popolo di origine Masai è il Samburu. Anche loro sono ormai una minoranza etnica (poco meno di 100.000). Pastori e di natura nomade, furono chiamati così in virtù del soprannome che dettero loro i Masai, per una borsa che usano portarsi dietro. Lungo la costa l’etnia che s’incontra più frequentemente sono i Griama, un popolo schiavo dei Galla, che fu lasciato su queste terre. Si tratta di persone prevalentemente miti, facili all’apprendimento di qualunque uso e costume.

Sempre sul mare, molti gli Indiani che si sono stabiliti in Kenya ormai da decine e decine di anni. Alcuni arrivarono con gli Inglesi, che li reclutarono per la costruzione della famosa Ferrovia. Altri decisero di attraversare il mare causa le ricorrenti carestie che funestavano il loro Paese. Fatto è che la gran parte della comunità indiana (lungo la costa per la maggior parte di religione musulmana) regge la rete commerciale della zona.

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